Una storia incredibile!
Il ciclismo ci regala sempre delle storie fantastiche, oggi vi parliamo di quella di Meg Fisher!
Meg Fisher: pedalare per cambiare il mondo
Ogni volta che Meg Fisher sale in sella alla sua bicicletta, lo fa con uno scopo preciso. Non si tratta soltanto di vincere una gara, di salire su un podio o di raggiungere un nuovo record personale. Per Meg, ogni pedalata è un atto di volontà, una sfida al dolore, ai pregiudizi e ai limiti imposti. È un modo per tracciare una strada nuova, per chi verrà dopo. Per dare voce a chi troppo spesso non ne ha. Per dimostrare che anche una tragedia può trasformarsi in una forza vitale. Per lei, pedalare è una missione.
Questa tenacia incrollabile l'ha accompagnata in tutte le sfide della sua vita: dalla tragica perdita della gamba sinistra a seguito di un incidente automobilistico, alla conquista di una medaglia d’oro, due d’argento e una di bronzo alle Paralimpiadi. L’ha spinta a percorrere le 200 miglia della Unbound Gravel nonostante i dolori articolari lancinanti, e a scalare la vetta più alta del mondo quando i medici le avevano detto che forse non avrebbe più camminato.
Meg Fisher è la dimostrazione vivente che si può risorgere dalle difficoltà, e usare la propria forza per fare del bene.
Una nuova identità, nata dal dolore
“Quando avevo 19 anni, io e la mia prima fidanzata abbiamo avuto un incidente d’auto. L’auto si è capovolta otto volte e mezzo. Lei è morta”, racconta Meg dalla sua casa a Missoula, nel Montana. “Io sono rimasta in coma, ho subito un intervento al cervello. Quando mi sono svegliata, ho guardato giù verso le gambe – le mie gambe, che erano il mio mezzo per muovermi nel mondo – e una non c’era più. Mi sono chiesta: chi sono ora? Cosa farò?”
Le risposte non sono arrivate subito. “Tutti continuavano a dirmi cosa non avrei potuto fare. Di abbassare le aspettative. Così ho pensato: vi dimostrerò che vi sbagliate.”
Meg ha deciso che avrebbe scritto una nuova versione di sé stessa. Non più solo una vittima di un destino crudele, ma una nuova atleta. Una pioniera. Una fonte di ispirazione.
Lo sport come rinascita
Solo undici mesi dopo la sua seconda amputazione, Meg partecipa al suo primo triathlon. “Mi serviva un modo per ritrovare la mia identità. Ho pensato: cosa direbbero che non posso fare? Ecco, un triathlon. Tre sport in un giorno. Ho preso in prestito una bici, ho nuotato con una sola gamba. Il mio obiettivo era solo non arrivare ultima. Sono arrivata settima… dalla fine. Ma ho capito che se vuoi davvero fare qualcosa, puoi farla.”
Poi, una nuova battuta d’arresto: Meg si ritrova in sedia a rotelle e costretta a usare le stampelle. Le viene assegnato un cane da assistenza che la aiuta a muoversi, tirando la carrozzina. È proprio grazie a quel cane che scopre la mountain bike: “Vedevo persone in bici con i loro cani e mi sono detta: magari posso farlo anche io. Così ho conosciuto una comunità di biker, e qualcuno mi ha invitata a una 24 ore in MTB. Ho fatto parte del team… e abbiamo vinto.”
La strada verso la gloria
Quel primo successo è solo l’inizio. Da lì, Meg diventa la prima donna para-atleta a partecipare a un triathlon Xterra off-road. Vince i titoli mondiali di paratriathlon nel 2009 e nel 2013. Poi arrivano le Paralimpiadi: Londra 2012 e Rio 2016, dove gareggia nelle prove a cronometro e nell’inseguimento individuale nella categoria C4.
“Londra è stata un’esperienza incredibile. Ricordo quando ho lasciato il Villaggio Olimpico, avevo ancora il pass al collo e alla stazione di Piccadilly Circus la gente mi fermava, mi dava il cinque. Una follia. C’erano anche William e Kate, e mia madre si è fatta notare così tanto che il principe l’ha cercata e le ha stretto la mano. È un ricordo che non dimenticherò mai.”
Eppure, Meg sa che quei momenti di visibilità sono rari. “Dopo Londra, sono tornata negli Stati Uniti e… niente. Tutto era come prima. Dovevo portare fuori il cane, pagare il mutuo. Le medaglie d’oro non valgono come garanzia in banca. Ma qualcosa sta cambiando. Anche lo sport femminile sta vivendo un momento di svolta. E spero che anche le storie come la mia abbiano spazio.”
Gravel e inclusione: una missione personale
Oggi, Meg Fisher è una presenza fissa nel mondo delle gare gravel. Ha vinto il titolo nazionale USA nella categoria C4, anche se era l’unica in gara. Ma la sua partecipazione ha un significato più profondo: “Voglio essere un esempio. Spingere perché i para-atleti vengano riconosciuti anche nelle gare gravel. Forse non cambierò le cose per me stessa, ma per chi verrà dopo.”
Meg è in contatto con la UCI per introdurre categorie para negli eventi gravel ufficiali, ma sa che la strada è lunga: “Faranno una nuova regola sull’altezza dei calzini prima di fare una regola sull’inclusività”, dice con un sorriso amaro.
Tuttavia, qualche passo avanti c’è stato. USA Cycling ha già introdotto le categorie para nei Gravel Nationals. E anche eventi come il Grinduro, grazie alla pressione di Meg, stanno includendo le categorie dedicate.
Un lavoro che non può fare da sola
“Non posso fare tutto da sola. Lo faccio nel mio tempo libero. Non posso essere a tutte le gare, ma voglio creare le basi per far entrare altri. Il mio obiettivo è portare queste categorie a livello internazionale, collaborare con organizzazioni, aumentare la partecipazione. Voglio che le persone possano riconoscersi nelle gare.”
Meg conosce bene la sua fragilità. Vive con il dolore quotidiano, le stampelle sono parte della sua routine. “Nel 2020 ho avuto un coagulo di sangue, sono rimasta sul divano per sei settimane. Non sapevo se avrei camminato ancora. La sedia a rotelle è nel garage. E so che, un giorno o l’altro, potrebbe tornare parte della mia vita. Per questo voglio sfruttare ogni giorno che ho.”
“Se io posso, puoi farlo anche tu”
Quello che Meg Fisher lascerà al mondo va ben oltre medaglie e trofei. È la sua eredità umana, il suo esempio. Un simbolo per chi ha vissuto un trauma. Una voce per chi è stato messo da parte. Una forza che ha trasformato la tragedia in cambiamento.
“Ho scalato la montagna più alta del mondo. Ho più titoli mondiali, lauree accademiche, ho fatto gare estreme. Ogni volta mi sorprendo di quello che riesco a fare. E spero che la gente pensi: se può farlo una ragazza con una gamba sola, posso farlo anch’io. Se io posso, puoi farlo anche tu.”