Pete Stetina si ritira
La carriera, il WorldTour e l’eredità nel gravel racing
Pete Stetina ha scelto il suo tempo. A 38 anni, uno dei pionieri del gravel racing moderno annuncia il ritiro dall’agonismo professionistico, non dalla bicicletta, ma da quella ricerca ossessiva della prestazione che ha segnato la sua vita sportiva fin dall’adolescenza. Una decisione maturata lentamente, raccontata con lucidità e consapevolezza, e accompagnata dall’uscita di, un corto documentario che rappresenta il suo ultimo atto competitivo “all in”.
Stetina è stato molte cose nel ciclismo, ma mai banale. Cresciuto in una famiglia profondamente legata alle due ruote – figlio di Dale Stetina, campione nazionale statunitense e vincitore della Coors Classic, e nipote di Wayne Stetina, olimpionico e altro nome storico del ciclismo USA – Pete ha respirato ciclismo fin da bambino. E quando il movimento statunitense esplodeva mediaticamente negli anni di Lance Armstrong, lui era già lanciato su una strada tutta sua.
Il talento lo porta rapidamente nel ciclismo che conta. Nazionale americana, Europa, Tour de l’Avenir, dove da under 23 indossa anche la maglia di leader, e poi il grande salto nel WorldTour. Con Garmin-Sharp, BMC Racing Team e Trek-Segafredo costruisce una carriera lunga e rispettata, fatta più di solidità e fiducia che di titoli a effetto. Corre tutti e tre i Grandi Giri, diventa uomo chiave in montagna, e fa parte della squadra che porta Ryder Hesjedal alla vittoria del Giro d’Italia 2012. Quando ha spazio per sé, arrivano anche risultati importanti: podi e top ten al Tour of California, Tour of Utah e Tour of Colorado.
Non mancano i momenti duri. Una caduta terribile nei Paesi Baschi, una lunga riabilitazione, il confronto diretto con i limiti del corpo. Ma Stetina resiste, si ricostruisce e, soprattutto, sceglie. Quando il suo percorso nel WorldTour si chiude, non lo fa per mancanza di alternative, ma per visione. Invece di inseguire contratti marginali, decide di investire tutto in un territorio allora ancora poco esplorato: il gravel.
Nel 2019 il gravel racing è un mondo informale, affascinante, ma privo di una vera struttura professionale. Stetina non si limita a partecipare: lo modella. Conia il termine privateering per descrivere il suo approccio totale, da atleta, manager, logistico e comunicatore di se stesso. Scommette tutto su questa disciplina e cresce insieme a lei. Vince Traka in Europa, Crusher in the Tushar negli Stati Uniti, è protagonista fisso a Unbound Gravel, Belgian Waffle Ride California, Leadville. Dimostra che vivere di gravel è possibile, e che può essere una carriera piena, credibile e sostenibile.
Sei anni dopo, però, il gravel non è più quello delle origini. È globale, iper competitivo, professionalizzato. Proprio come il WorldTour che Stetina aveva lasciato. Un’evoluzione naturale, positiva, ma che lo riporta davanti a una domanda inevitabile: ha ancora senso continuare a nutrire quella fame?
La risposta arriva nel 2025, l’anno che lui stesso aveva deciso sarebbe stato l’ultimo. Tutto ruota attorno a un obiettivo simbolico e personale: la Mount Washington Auto Road Bicycle Hillclimb. Una salita leggendaria, 11,9 km al 12,6% medio, con punte al 22%, e una storia profondamente intrecciata alla sua famiglia. Su quella montagna, suo padre Dale aveva detenuto il record per 17 anni. Dopo la riasfaltatura finale del percorso, Stetina vede l’occasione per chiudere il cerchio.
Si prepara come non mai. Dieta, ritiri in quota, modifiche alla bici. Un ultimo tentativo di scrivere il finale perfetto. Ma il ciclismo, ancora una volta, non concede copioni. Una malattia rovina i piani, e il giorno della gara Stetina assiste da spettatore alla vittoria dell’amico Ian Boswell. È il simbolo di una stagione storta, forse una delle più difficili della sua carriera.
Ed è proprio lì che il messaggio diventa chiaro. Feeding the Rat non parla solo di una salita o di un record mancato, ma del momento in cui un atleta comprende che non può controllare tutto, e che lasciare andare è parte del percorso. Il “ratto” da nutrire, quella dipendenza dalla prestazione, va finalmente messo a tacere.
Il ritiro, però, non è una sparizione. Stetina lo affronta con la stessa intelligenza con cui ha costruito il suo percorso gravel. Niente stop netto, ma una lunga uscita di scena. Qualche gara scelta per affetto e significato – Levi’s GranFondo a Santa Rosa, Belgian Waffle Ride California, Mid South, Oregon Trail, Steamboat – e un nuovo ruolo all’interno del paddock.
Continuerà la collaborazione con Canyon e con i partner storici, ma non più come cacciatore di podi. Diventa una sorta di giocatore-allenatore, una guida per i giovani talenti del gravel, un punto di riferimento per chi si affaccia a un mondo che lui ha contribuito a costruire. L’esperienza accumulata tra WorldTour e privateering diventa ora un patrimonio da trasmettere, soprattutto su come rendere sostenibile una carriera fuori dai binari tradizionali.
Pete Stetina lascia le corse professionistiche con qualcosa di raro nel ciclismo: la possibilità di scegliere il momento e il modo. Non smette di pedalare, non smette di amare la fatica, ma smette di vivere per la velocità a ogni costo. È una chiusura che non sa di resa, ma di maturità. E per uno dei padri fondatori del gravel moderno, è forse il risultato più importante di tutti.
Grazie Pete!




