Il Gravel è uno sport da VECCHI?
Nel gravel si vedono pochi giovani e tanti adulti, ma forse è proprio questo a renderlo unico: meno competizione, più esperienza, libertà e avventura.
Ogni volta che si osservano le griglie di partenza delle grandi gare gravel, la sensazione è chiara: l’età media dei partecipanti è alta. Ma la stessa impressione si ha anche nei raduni, nei trail autogestiti, nei viaggi in bikepacking e nelle community online: i volti sono spesso segnati da esperienze e chilometri, più che dall’acne giovanile.
Ma è davvero un male? O il gravel sta semplicemente offrendo qualcosa che il ciclismo tradizionale ha dimenticato da tempo?
Prendiamo ad esempio eventi come l’Unbound negli Stati Uniti: oltre 5000 partecipanti, una massa eterogenea di ciclisti, la maggior parte dei quali non è lì per vincere. Sono lì per vivere l’esperienza, per sfidare se stessi, per stare all’aria aperta e magari ritrovare quel senso di libertà che il ciclismo può offrire.
Dove sono i giovani?
È un dato di fatto che il numero di giovani ciclisti, sia nelle gare gravel che tra i semplici pedalatori, sia piuttosto basso. Nelle uscite bikepacking organizzate, nei trail da centinaia di chilometri, nelle community che vivono di notti in tenda e strade bianche, raramente si vedono under 25.
Il declino della partecipazione giovanile è però un fenomeno che riguarda tutto il ciclismo, non solo il gravel. Solo il ciclocross sembra ancora reggere tra i giovani, probabilmente grazie alla durata contenuta delle gare e alla presenza nei calendari giovanili.
Il gravel, al contrario, profuma di avventura, di fatica, di lunghe distanze. Una gara breve può durare 100 chilometri, un viaggio in bikepacking può richiedere giorni o settimane. Non proprio il formato più appetibile per chi è cresciuto con l’attenzione compressa in reel da 30 secondi.
Una questione (anche) economica
C’è poi il tema del costo. Negli anni ’90 bastava una mountain bike scassata, una borraccia e un casco per cominciare. Oggi? Una bici gravel di fascia media può costare quanto un motorino, il kit tecnico ha prezzi da boutique, e le gare o i trail spesso richiedono viaggi, logistica e attrezzatura da campeggio.
Certo, si può ancora partire per un'avventura con poco, ma per un ragazzo senza mezzi propri, con pochi soldi in tasca e magari nessuno intorno che lo supporti, è difficile sentirsi parte di un ambiente dove il carbonio regna sovrano e ogni borsa ha il prezzo di un affitto.
Una possibile soluzione? Destinare una parte delle quote d’iscrizione degli adulti a sconti per i giovani, oppure introdurre limiti di attrezzatura nelle categorie giovanili per ridurre il divario economico. Ma per ora, sono poche le iniziative concrete in questa direzione.
L’età della riscoperta
Molti dei protagonisti del gravel – sia in gara che fuori – sono ex ciclisti, escursionisti, ex podisti, oppure semplici appassionati che hanno ritrovato il tempo e la voglia di pedalare. I famosi MAMILs (Middle-Aged Men In Lycra), sì, ma anche tante donne e adulti che cercano nel gravel uno spazio lontano dallo stress, senza semafori, senza traffico, senza cronometro.
Ed è proprio questo che rende il gravel così diverso dalle altre specialità del ciclismo. Non si corre (solo) per vincere, si pedala per esserci, per condividere, per esplorare.
Il gravel è davvero uno sport da vecchi?
Forse sì. Ma forse è anche lo sport giusto per i tempi che viviamo. In un mondo che invecchia, che cerca nuove forme di benessere e contatto con la natura, il gravel diventa un rifugio.
Questo non significa rinunciare ai giovani – anzi, sarebbe bellissimo vederne di più. Ma forse serve un gravel più accessibile, più breve, più giocoso anche per loro.
Nel frattempo, i “vecchi” del gravel continuano a divertirsi. E forse, proprio questo spirito inclusivo, aperto, lento e polveroso, è la risposta più bella alla domanda iniziale.