Ciclisti sulle Strade Italiane: Una Triste Contabilità di Vite Spezzate
Strade pericolose, regole ignorate e un numero crescente di vittime: il boom del gravel riflette il bisogno di sicurezza di chi pedala. Ma scappare dall’asfalto non può essere l’unica soluzione.
Sandro Abruzzese, Vincenzo Mantovani, Antonio Porro. Nomi di uomini che, in una domenica di mezza estate, hanno incrociato il loro destino sulla strada provinciale che collega Terlizzi a Bari. Ma non sono stati gli unici. Aliyu, Nicola, Sara. Persone che hanno perso la vita non solo a causa delle auto pirata di chi ha sempre più fretta, ma anche per la mancanza di rispetto delle regole che dovrebbero garantire una convivenza civile sana.
I numeri sono spaventosi: 132 ciclisti hanno perso la vita sulle strade italiane dall'inizio del 2025, e ben 531 dal 2023 ad oggi. Non si tratta solo di appassionati, ma di uomini e donne che percorrono le strade per lavoro o per il piacere di una pratica salutare e liberatoria.
Ma non è solo una questione di automobilisti. È innegabile la disinvoltura con cui molti utilizzano le cuffie senza fili o ignorano l'uso del casco su strade pericolose e trafficate. Le regole valgono per tutti gli utenti della strada, nessuno escluso.
La responsabilità è la parola chiave. In un paese che sembra avere un odio viscerale verso chi si sposta in bicicletta, è cruciale chiedersi se le leggi esistenti, come l'obbligo del metro e mezzo di distanza, vengano rispettate o semplicemente ignorate. Le campagne per il rispetto dei ciclisti sembrano non aver sortito l'effetto desiderato, visto l'aumento delle vittime sulle strade.
In questo contesto drammatico, forse non è un caso che il ciclismo gravel stia vivendo un boom senza precedenti. Sempre più ciclisti scelgono di lasciare le strade asfaltate per rifugiarsi su sentieri sterrati e strade bianche, alla ricerca di sicurezza, silenzio e pace.
La popolarità del gravel non è solo una questione di moda: è una fuga.
Una scelta dettata dalla paura, dalla stanchezza di rischiare la vita ogni volta che si esce in bicicletta.
Ma attenzione: non può essere una soluzione definitiva. Non possiamo accettare che l’unica via per restare vivi sia scomparire dall’asfalto.
Le città e le strade devono tornare ad essere spazi condivisi, non territori ostili dove chi pedala rischia ogni giorno di non tornare a casa.
È una sconfitta per un paese che lotta con inciviltà diffusa e rassegnazione cronica. È urgente pretendere il rispetto delle regole e delle vite umane, al di là delle punizioni esemplari che la classe dirigente spesso invoca senza conseguenze concrete.
In un contesto dove la routine della morte sulle strade e sul lavoro sembra ormai consolidata, è necessario rompere questo ciclo e promuovere una cultura della sicurezza e del rispetto reciproco.
Solo così potremo sperare di invertire questa tragica tendenza.